SALVIAMO IL SOLE

 



Conoscevo un ragazzo.

Frequentava la mia stessa scuola.

Era intelligente, sorrideva sempre, si vestiva con uno stile tutto suo.

Lo ammiravo. 

E non ero l’unico, quando passava per i corridoi attirava l’attenzione di molte ragazze, secondo me perché era diverso. Puro, genuino, altruista, brillante, umile.

Lo chiamavano An; aveva abbreviato così il suo nome, non gli piaceva e per questo non lo ha mai detto a nessuno.

Conoscevo un ragazzo con occhi che brillavano e donavano luce.

Ma un giorno in quegli occhi mi è sembrato di vedere il vuoto.

An sembrava stare bene.

E forse era così.

Forse.

Una volta.

Me lo ricordo quel pomeriggio: rientravo dalla pausa pranzo, avevo pomeriggio a scuola.

Lui era seduto a terra appoggiato ad un muretto. Camicia sporca, capelli scompigliati, naso rossissimo, vicino al bordeaux.

Non ho avuto il coraggio di parlargli, percepivo l’assenza di qualsiasi tipo di emozione e desiderio.

An era vittima di bullismo.

Tre ragazzi più grandi di lui lo avevano preso di mira, senza una vera motivazione apparente.

Tre ragazzi che hanno calpestato un sole, tre ragazzi che hanno calpestato una vita e ci sono saltati sopra con sadismo, crudeltà.

All’improvviso An veniva chiamato “lo sfigato”, “il senza-palle”, “il mingherlino”, “faccia di merda,” e le ricreazioni le passava solo, nascosto non so dove.

Gli era stata creata terra bruciata attorno, i suoi amici lo avevano abbandonato credendo a tre nullità che lo screditavano raccontando cattiverie inventate.

Conoscevo un ragazzo.

Un giorno a scuola, nella pausa, un urlo.

I tre lo avevano circondato. In centro un tipetto vestito tutto elegante, uno di quelli di cui non sospetteresti mai, e ai suoi fianchi due suoi opposti: uno pieno di tatuaggi che masticava a bocca aperta un chewing-gum, l’altro rideva. Rideva sempre. Ma più che ridere urlava. Assisteva alla scena tutto divertito.

An da un momento all’altro era finito a terra, e, sporco di fango e sangue, restava immobile. 

Non si difendeva.  

Non scappava.

Solo un urlo.

L’ultimo.

Conoscevo un ragazzo, e lo ammiravo.

Forse non ero l’unico, ma l’invidia è la bestia peggiore che si possa incontrare.

An si nascondeva in bagno, si puliva, respirava frettolosamente e davanti agli altri tornava a sorridere.

Conoscevo altri ragazzi e professori.

Li credevo umani.

Ma mi sbagliavo.

Cosa cazzo abbiamo nella testa? Come è possibile che non si sia mai accorto nessuno che dietro a quel viso con qualche cicatrice ma sempre sorridente c’era l’inferno?

Iniziavo a sentirmi strano, non capivo se fossi io a vedere ciò che gli altri non potevano vedere, o se gli altri non volevano vedere cosa vedevo io.

Chissà a cosa pensava, cosa voleva.

Io credo solo urlare e correre. 

Senza sosta.

Ma gli avevano rubato la voce e tagliato le gambe.

Prima ancora di quelle merde tutti noi, omertosi ed emotivamente ignoranti.

Senza coraggio, intimoriti da un sistema che ti insegna che se ti schieri dalla parte sbagliata vieni fatto fuori. Meglio farsi gli affari propri ed andare avanti.

Labbra gonfie, occhi neri, mani tremolanti, cuore distrutto.

Ma i professori si preoccupavano del suo rendimento scolastico improvvisamente calato, e i suoi compagni di classe non credevano possibile che un ragazzo come lui potesse essere vittima di bullismo.

An era solo.

Insieme alle sue paure.

Tramortito da un tir che lo ha preso in pieno.

Conoscevo un ragazzo.

L’ultima volta che l’ho visto stava suonando l’ultima campanella, e mentre lui correva per le scale io lo fermai. 

Lui non mi guardava negli occhi.

“Non sei solo, An.”, sono riuscito a dire solo questo.

Alzò lo sguardo.

Mi sorrise.

E all’improvviso delle urla: “Tu! Coglione! Preparati! Ti uccideremo!”

Conoscevo un ragazzo al quale ho parlato per la prima volta quando era troppo tardi.

Sono passati 10 anni, e io non lo riesco a dimenticare.

Vedo sempre una sua foto che lo ritrae mentre sorride e guarda l’obiettivo a metà fra l’essere divertito ed imbarazzato.

Questa foto è appesa su una bara, nel cimitero della nostra città.

Il sorriso che An mi ha fatto quel pomeriggio è stato l’ultimo.

Aveva spiazzato tutti, aveva anticipato la mossa che tre ragazzi trattati come se non avessero mai fatto nulla gli avevano annunciato.

Quel pomeriggio solo tante lacrime.

Avrei voluto spaccare la faccia della preside, che con in mano il microfono davanti alle telecamere spiegava quanto odiava il bullismo. Ai professori che piangevano. Ai suoi compagni devastati.

Dove siete stati?

Perché piangete ora?

Serve che delle vite si spengano per attirare l’attenzione della gente, ci avete mai fatto caso?

Andreino, eccolo il suo nome scritto sulla bara.

Nome che tre ragazzi, che ora hanno una famiglia, un lavoro, tanti amici che li stimano e rispettano, hanno demolito.

Nome che dopo due giorni è stato dimenticato, perché è sempre così. Dimentichiamo troppo in fretta, e tutto riparte come era prima.

Apriamo gli occhi, il prossimo An potrebbe essere chi noi mai penseremo.

Non facciamoci spaventare ed aiutiamolo a restare a galla, porgiamo le nostre mani, i nostri corpi, le nostre anime.

Conoscevo un ragazzo, ed ogni volta che lo penso piango.

Mi dispero.

E mi sento in colpa perché non ho fatto abbastanza.

Ma alzo la testa e vedo il sole splendere in cielo, vedo lui.

Non parliamo di bullismo solo il 7 febbraio, facciamolo anche negli altri 364 giorni dell’anno.

Ma non limitiamoci a parlarne, combattiamolo.

Salviamo il sole, o resteremo al buio.


Jackyc'è


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Commenti

  1. Con tutte le forze, con tutti i mezzi combattiamo il bullismo perché non si può SPEGNERE SOLE !!!
    ANZI DOBBIAMO FARCI LUCE LADDOVE VI È BUIO,VIOLENZA, FRUSTRAZIONE E
    INVIDIA. GRAZIE GIACOMO PERCHÉ IL TUO SCRITTO SIA LUCE PER TUTTI I LETTORI
    POLLICINO

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  2. Purtroppo, negli ultimi anni questi episodi di bullismo sono sempre più frequenti e i bulli diventano sempre più aggressivi oltre che sfigati aggiungerei, vedi il caso di Willy! Non fa figo essere bulli, non fa figo picchiare e/o insultare un bravo ragazzo che non risponde a tono perché molto educato e pieno di valori! Il figo è chi va controcorrente, chi denuncia e chi non supporta questi maledetti esseri che per sentirsi importanti devono essere per forza violenti anche perché altrimenti sarebbero invisibili a causa della loro stupidità e ignoranza! Il figo per me è il “diverso”colui che, in silenzio e senza ostentare, aiuta il prossimo e nota sempre tutto! Io amo i “diversi” sono meravigliosi ed estremamente interessanti! Sei Grande Jack❤️

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  3. Come sempre tu hai scritto tutto e io ho pianto.Ma non basta né scrivere né piangere.Bisogna FARE,perché chi non fa niente è colpevole come chi bullizza,forse di più. Io a scuola parlo di questo argomento con i miei piccolini,tutte le volte che ne ho occasione, e spesso...creo l'occasione,con una lettura,un racconto,una frase da analizzare buttata lì per caso in un esercizio.I piccoli ragionano,capiscono e dicono che non lo faranno mai.Sara' vero?Non lo so.Dopo la quinta ognuno prende la sua strada.Io però riesco a guardarmi allo specchio e a dormire la notte.Io provo a fare la mia parte.Una goccia nell'oceano?Non importa.Nel mio mondo tutto parte da me.Un abbraccio, caro Giacomo!

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  4. Un racconto forte, profondo, duro. Un racconto rappresentativo di quanto nel nostro Paese ci sia bisogno di quella famosa educazione emotiva così spesso assente. Ci sono vittime e ci sono bulli, prima ancora persone. Così come è una persona la vittima, così lo è il bullo. Dovremmo riflettere e andare oltre l’etichettamento, così limitante nel rappresentare un essere umano, una persona. Abbiamo urgenza di un sistema che sappia comprendere , andare oltre, assicurando tutela per le vittime e ascolto per i bulli, spesso prima vittime, poi carnefici. Che ciascuno di noi, nel proprio piccolo, possa adoperarsi per nutrire il seme del rispetto, in ogni tempo e luogo. Tu, attraverso la tua sensibilità, so che saprai donare nutrimento , spunti di riflessione “giovani” e autentici. Grazie !

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  5. Mea culpa.
    Credo che anziche' commentare questo scritto sia giusto che rifletta sul fatto che il bullismo esiste e non posso rimanere indifferente pensando che non mi riguarda perche' ho 51 anni,perche' non ho figli,perche' ai miei tempi si facevano battute per scherzare.
    Mi sono mai chiesto cosa provocava in chi le subiva le battute che facevamo per scherzare?
    Mi sono mai chiesto quanti An ci sono intorno a me anche se non li conosco.
    Ognuno di noi deve fare qualcosa nel suo piccolo anche solo non rimanendo indifferenti.
    Grazie jack per questo cazzotto in pieno stomaco che mi permette di riflettere ed agire perche' il peggior male e' l'indifferenza.

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  6. C'è, Jack c'é.
    Ti emoziona, ti fa riflettere, ti fa pensare.
    Alcune volte ti serve una lente di ingrandimento per leggere ciò che ti possa davanti e non vedi.
    Continua ad essere la mia lente.
    Sei un grande Jack! Un abbraccio di cuore!

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