NINAKUPENDA


3° POSTO ALLA 4^EDIZIONE DEL 

PREMIO LETTERARIO "Davide Lusa"


 

            Erika è sdraiata sul divano con lo sguardo verso il soffitto del suo ampissimo soggiorno.

Magra, alta, capelli biondi e lisci.

Fra due mesi sarà il suo quarantesimo compleanno.

Erika è un’agente di borsa.

La tipica donna che non sorride mai: il sorriso per lei è un accessorio inutile che non troverebbe spazio nella sua cabina armadio.

Severa, austera, il suo miglior amico è l’orologio. 

La sua vita dipende da quel piccolo oggetto metallico, regalo di laurea del papà, che porta sempre al polso sinistro e da un’agenda fitta di impegni.

Vive sola nel suo attico in centro a Milano che si gode solo la domenica; il suo unico familiare, la mamma, vive da quattro anni in casa di riposo. 

Erika ha tantissimi conoscenti ma nemmeno un amico. 

In realtà ce ne sarebbero, però, o sono tutti andati all’estero per lavoro lasciandola sola insieme al suo orologio, o non sono all’altezza del suo stile di vita. 

La parola fidanzato nel suo vocabolario non esiste dai tempi dell’università.

Erika sta pensando.

Alla sua vita.

Al suo lavoro.

Al suo io.

“Da quant’è che non mi prendo una vacanza?” dice mentre si alza dal divano sfilandosi il suo tacco dodici delle nuove Jimmy Choo.

Non si risponde perché è passato così tanto tempo che nemmeno se lo ricorda.

Dal vecchio ed elegante giradischi della bisnonna suona la Sinfonia No.40 di Mozart, riempiendo il salone di vita e brio.

Ma Erika Pietroni ha la testa altrove.

Qualcosa la turba.

“Entrare nel temutissimo mondo degli -anta non mi spaventa così tanto, dai. Non riesco a capire cosa mi stia succedendo. Ho dimenticato di ordinare il sushi per cena? No. Ho lasciato il telefono in ufficio? Ma quando mai, è sul tavolo della cucina. Forse il problema è veramente il fatto che ho bisogno di una vacanza. Oh, che ridere. Una vacanza. Onestamente me la meriterei.”

Guarda l’orologio, raccoglie i suoi capelli in un veloce chignon e continua a pensare a voce alta.

“Prendo l’aereo e ciao Mondo! Una settimana. Tutta per me. Mi piace l’idea. Naturalmente si farà solo se riesco a trovare un posto idoneo. L’anno nuovo è iniziato da poco, ci sarà sicuramente un’offerta interessante.”

Più che di qualcosa di interessante, Erika ha bisogna di un po’ di relax. 

Tranquillità. 

Ecco cosa le serve. 

T-r-a-n-q-u-i-l-l-i-t-à. 

Serve al suo corpo e alla sua mente.

Nella vita è fondamentale ritagliarsi dei momenti per stare in pace con sé stessi, per ritrovarsi, conoscersi ed apprezzare ciò che ci circonda. 

Glielo ripete sempre la Colombo, collega e assidua frequentatrice dei corsi di yoga del giovedì.

Ma Erika questo aspetto lo ha un po’ trascurato negli ultimi sei anni.

Intanto ha preso coraggio.

Insieme al crescente dei violini che sembrano incitarla, prende il computer e si risiede sul divano.

Google.

Cerca.

Vacanze-partenza-immediata

Cerco...

“Filtri per la ricerca. Mare, seleziona. Suite, seleziona. Wi-Fi, seleziona.”

Cerco...

2 risultati trovati.

“Due? Mh, meglio che niente, vediamo. America, Miami. No, no e no. America è tutto tranne che sinonimo di tranquillità!”

Erika la tranquillità non l’ha mai apprezzata, in realtà non l’ha mai vissuta. Ora però ne ha proprio sete.

E oggi, a meno due mesi al suo quarantesimo compleanno, questa tranquillità la cerca disperatamente. 

Più dei vestiti firmati appena usciti quando fa shopping online. 

Più della strategia migliore per alzare il guadagno mensile. 

Forse proprio perché ha bisogno di cambiare aria; si sta rendendo conto che la sua non è vita. Ma si potrà fare qualcosa per cambiare? Certo, assolutamente sì. Basta salire sul treno giusto quando passa o, in questo caso, sull’aereo.

“Africa, Tanzania. Villaggio turistico a Zanzibar. Suite con Wi-Fi disponibile. Partenza imm... 

Partenza immediata?! Domani sera, ore 20.”

Decidere se investire o meno una parte di capitale per Erika è un conto, ma decidere in pochi minuti se fare la valigia per andare nel sud-Africa una settimana in vacanza è decisamente tutt’altro.

Questo vorrebbe dire avvisare capo, colleghi e collaboratori. 

Dedicare la serata e la mattina successiva a preparare la valigia in un modo impeccabile: magliette, pantaloni, abiti, una felpa perché non si sa mai, costumi, infradito, scarpe da abbinare ai vari look, creme, trucchi, medicine, profumi per i vari stati d’animo, scegliere quanti soldi portare e, da non dimenticare, quali e quante borse.

“Quasi peggio che lavorare” pensa fra sé e sé.

Conferma-prenotazione-in-villaggio-turistico-per-giorni-7-e-notti-6” click!

Conferma-prenotazione-per-volo-in-prima-classe-andata-e-ritorno” click!

Salva-biglietti” click!

Fatto!

Erika, conosciuta dai suoi colleghi come La Dura a causa della sua spesso forte apatia e per il suo cognome, ha coperto le tante mancanze avute con i soldi. Quelli non le sono mai mancati. 

Giornata stressante? Shopping online senza limiti. 

Problemi sul lavoro? Cibo take-away dal ristorante stelle Michelin del centro. 

I problemi li ha sempre risolti così, sperperando i suoi averi.

Peccato che con i soldi non si comprino le emozioni autentiche.

            

                       A poche ore dalla partenza il clima non è dei migliori. Mentre l’assistente vocale di casa continua a suonare per ricordare i vari promemoria, Erika sta sfogando il suo isterismo prendendo a calci il letto. 

Intanto suona il telefono. Eccolo.

Il demonio fatto in oggetto tecnologico luminoso che non smette mai di suonare. Erika ci è altamente attaccata, ma in fondo al suo cuore lo vorrebbe lanciare dal balcone.

È il capo che chiama.

Vuole la conferma dei giorni di ferie della sua dipendente più competente e più antipatica.

“Va bene, va bene. A risentirLa!” urla lanciando il telefono sul letto per tornare alla sua battaglia con la valigia.

Dopo il centesimo controllo si decide a chiudere il suo bagaglio.

Risuona il telefono.

Non risponde.

A secondi dovrebbe citofonare l’autista per portarla a Malpensa.

Profumo.

Borsa.

Valigie.

Telefono.

Biglietti.

Driiin.

È Piero, il tuttofare della Pietroni.

Presenza costante il buon Piero.

Lavandino rotto?

Voglia di uno spuntino fuori orario?

Bisogno di un passaggio fuori regione?

Per qualsiasi cosa lui c’è.

Non si lamenta mai. 

Fa quello che gli viene richiesto e quando interpellato dà i suoi consigli.

Anche se lei non lo sa, Piero è molto affezionato ad Erika. Lo è perché ha capito che dietro a quell’abito elegante e costosissimo, dietro a quello sguardo impassibile, c’è una donna fragile.

Ma... silenzio! Se dovesse dire una cosa del genere alla signorina verrebbe licenziato in tronco.

Caricate le valigie sul SUV nero si può finalmente partire.

Per un secondo Erika ha pensato di disdire tutto, ma non l’ha fatto.

Nella vita bisogna osare, e che così sia allora!

Durante il tragitto verso l’aeroporto ne approfitta per leggere le ultime mail e per annullare gli appuntamenti previsti per le giornate successive.

Poi cerca su Google Tanzania

Repubblica Unita di Tanzania, uno dei paesi più dinamici dell’Africa orientale; famosa per le sue centinaia di etnie diverse, è conosciuta in tutto il Mondo per gli incantevoli safari fra leoni, leopardi, elefanti, bufali e rinoceronti.

“Io questi safari non li faccio nemmeno se mi pagano” - pensa – “in mezzo alla foresta, con gli insetti e gli odori più sgradevoli della terra no grazie! Me ne starò in pace in riva al mare a prendere il sole.”

“Signorina siamo arrivati!”

“Grazie Piero, prenditi questa settimana per fare ciò che preferisci, sei in ferie fino al mio ritorno.”

Essendo cliente VIP dell’aeroporto in pochi minuti Erika ha imbarcato i suoi bagagli e si gode il panorama seduta su una poltroncina bianca di pelle riservata per lei.

Vede di continuo aerei atterrare e altri decollare.

Intanto sorseggia champagne e mangia il suo sushi fresco di giornata.

19:45.

Imbarco first class.

Erika è pronta.

Tanzania, preparati.

O forse è meglio che sia Erika a prepararsi.

Intanto sta scegliendo con quale film farsi compagnia per una parte del volo, che durerà circa otto ore: la scelta ricade su “La concessione del telefono”, di Camilleri.

Ma dopo un quarto d’ora dal decollo Erika è già nel mondo dei sogni.

In questi anni ha dormito così poco che le servirebbe minimo un mese di letargo.

Ogni volta che la Colombo le chiede se dorme bene, lei cambia discorso e risponde: “Lavoro, mangio, e quando ho tempo dormo. Certo che sto bene, cosa dovrei avere!”

Intanto dal finestrino si vede qualche nuvola che sembra fatta di zucchero filato, modellata come una piccola palla. Il cielo, con i suoi colori notturni, è incantevole.

Ma Erika ha la sua mascherina per gli occhi, non ha visto nulla di tutto questo nemmeno di sfuggita.

 

            Atterraggio.

Recupero bagagli.

Ora Erika deve aspettare l’assistenza del villaggio dove verrà ospitata.

Forse non sa che non è l’unica.

Intorno a lei centinaia di turisti e gente del posto che offre passaggi, escursioni e souvenir.

La Dura prova ad evitarli tutti.

Il suo codice di chiamata è C3.

A pronunciare quel codice è una ragazza riccia, mora, italiana. È dello staff del villaggio. Erika accenna un sorriso, ma dura meno di un secondo a causa di ciò che si trova davanti. Una ventina di turisti che si stanno avvicinando alla ragazza. 

“Mi scusi, deve esserci un errore. Io sono Erika Pietroni, ho prenotato una suite nel villaggio dove lavora ma non è ancora arrivata una macchina a prendermi.” dice alla ragazza. Si chiama Laura, il nome è scritto sul cartellino.

“Ciao Erika! Sei C3 giusto? Vieni con noi, il bus ci sta aspettando” risponde sorridendo.

Erika è imbarazzata ed innervosita.

Si ritrova in coda in un piazzale con la sua valigiona.

Mentre si toglie la felpa aspetta il suo turno per salire sul bus che porta al villaggio. Ci vogliono venti minuti. Erika li trascorre cercando di sbollire.

Intanto guarda fuori dal finestrino.

Sente tante voci, urla, rumori di moto.

Vede bambini scalzi giocare a calcio in un campo immaginario.

Vede un signore con una barba bianca un po’ sporca rovistare nella spazzatura.

Intanto il bus viene superato da un furgone che dietro trasporta un gruppo di amici.

C’è un insieme di case fatte con materie prime, semplici.

Ma davanti ad un villaggio che vive nella miseria e in condizioni al limite del decente, Erika resta impassibile, il suo sguardo è disgustato.

Guarda il telefono.

“Mannaggia! Non prende! Appena arriviamo voglio attaccarmi al Wi-Fi.”

Intanto Laura prende la parola: “Signore e signori, ragazze e ragazzi, benvenuti!”

 

            Il villaggio è come Erika aveva visto da Internet.

Un grande bar con servizio all-inclusive e cocktail freschi da gustare all’ombra, buffet sempre aperto, una piscina grandissima usata anche dall’animazione, campi per tutte le attività sportive, spiaggia con lettini, zona per i giochi e il desk animazione.

La sua stanza è la 321.

E mentre si domanda se riuscirà a stare in pace gira la chiave nella serratura ed entra nella sua suite.

Adesso si sente a suo agio.

Lusso e quiete.

Il pranzo ha deciso di saltarlo, mangerà qualcosa più tardi al buffet.

Ora deve sistemare i suoi vestiti e trovare la password del Wi-Fi per controllare per un’ultima volta eventuali messaggi o chiamate perse.

Intanto apre le tende che proteggono la stanza dal sole che entra dalla finestra gigante alla destra del letto a due piazze.

Entra una luce che illumina tutta la camera.

La stagione delle piogge fortunatamente è distante; Il sole è padrone di un cielo azzurro pastello che Erika non ha mai visto e delle nuvole nemmeno l’ombra. 

All’orizzonte il mare.

Se si ferma le sembra di sentirlo.

Un vento leggero leggero rende l’atmosfera ancora più piacevole. 

Tutta questo rende La Dura serena e felice.

Che strana questa sensazione.

Intanto canticchia “Volare”, dei Gipsy King.

Se la vedessero i suoi colleghi la filmerebbero, perché così non è mai stata nemmeno il giorno della sua promozione lavorativa.

La Colombo le direbbe “Così mi piaci!”, accompagnando l’esclamazione ad una pacca sulla spalla. Invece Erika è da sola, ed è contenta.

Ma questo clima viene interrotto da una suoneria, quella del telefono della stanza. 

È la reception, deve informare che per questa giornata sarà impossibile usufruire della connessione internet a causa di un imprevisto guasto tecnico.

Erika tira una manata al muro accompagnata da un calcio; si siede sul tavolo al centro del balcone e respira profondamente, come insegnano al corso di yoga.

Andrà in spiaggia allora.

Si infila le sue infradito bianche con i dettagli in oro, indossa il costume nuovo comprato chissà quando e mai usato, prende il telo ed esce dalla sua lussuosa camera dotata di tutti i comfort.

La spiaggia è affollata dagli ospiti del villaggio che si dilettano fra bevute di cocktail al frutto della passione, partite a beach volley e chiacchiere sotto l’ombrellone; l’animazione non c’è, oggi hanno il giorno off.

Erika intravede un lettino in un angolo della spiaggia.

Non lo occupa nessuno perché è il più distante dalla confusione generale.

Fa proprio per lei!

Accelera il passo e se lo aggiudica senza problemi.

Per Erika sta arrivando un pomeriggio di riposo e sole, che la fa sentire bene quasi come quando ascolta le “Quattro stagioni” di Vivaldi.

Prima di spalmarsi puntigliosamente la crema solare Erika si ferma ad osservare il mare. L’ultima volta che l’aveva visto era stato a Civitavecchia per lavoro. Lo osserva con degli occhi diversi rispetto a quelli con cui guardava i villaggi e la gente del posto. Questa è la parte di Zanzibar che le interessa.

Un mare che sembra dipinto da Van Gogh, con le onde che tengono il tempo.

Guardando all’orizzonte riconosce un blu scuro che si avvicina al nero, ma se sposta lo sguardo vede indaco, azzurro, azzurro chiaro, e ancora più chiaro da riflettere la luce del sole. 

Chiude gli occhi e il suo naso respira il sale marino, rivitalizzandola.

Qualcuno intanto entra in acqua per farsi un giro in catamarano.

Erika riapre gli occhi, si spalma la crema concentrandone una buona dose sul naso, prende il sole e si appisola.

 

            Masai.

Un popolo nilotico che vive fra la Tanzania e il Kenya, per tradizione allevatori transumanti e a volte stanziali, sono chiamati “I Figli della Savana”. Gli uomini indossano il tipico shuka, una coperta di cotone a quadri con i colori predominanti del rosso e del nero, mentre le donne vestono delle tuniche blu, rosse o nere, spesso in base al loro status sociale. 

Ciò che li rende ancora più unici se non magici sono le loro danze, la musica. Per molti sono nati con il ritmo nelle vene; si dividono in chi danza, chi canta, e chi suona i bonghi.

Chi danza sta al centro, mentre chi canta tiene il tempo battendo le mani.

Tutto ruota intorno al movimento del collo rigorosamente a ritmo, ma la differenza la fanno un’altra cosa. I loro sorrisi.

Sorrisi di chi non ha niente e sta bene così.

Sorrisi di chi è felice perché vive.

Sorrisi veri, contagiosi.

Di masai ce ne sono anche nel villaggio turistico dove alloggia Erika, loro ne sono la mascotte.

A disposizione per quattro chiacchere con le parole che hanno imparato negli anni, perlustrano il perimetro fungendo da sorveglianti, e nei giorni di festa diventano i protagonisti con attività folcloristiche.

Erika si sveglia proprio a causa dei masai, che intonano un inno in onore dei nuovi ospiti.

Infastidita dal brusco risveglio e dai canti che le sembrano urla aramaiche, raccoglie le sue cose e prende la strada per tornare in stanza.

Al confine fra la spiaggia del villaggio e quella libera, una bambina la osserva immobile.

Alta ottanta centimetri, ha due occhioni scuri che si notano subito sul suo faccino.

Naso a patata, talmente piccolo che sembra quasi non averlo.

I suoi capelli sono corti, con la pettinatura afro tipica del posto.

Indossa una maglietta presa chissà dove che le funge da vestito.

Lei è lì, ferma ad osservare Erika tornare nella sua suite.

La Dura si accorge di non aver ancora mangiato nulla: si ferma al buffet, riempie un piatto di formaggio e frutta e va. 

 

            Secondo giorno di vacanza.

Finalmente il Wi-Fi è disponibile.

Erika trascorre la mattina nella hall della reception a leggere notizie da varie testate giornalistiche e a leggere i messaggi senza rispondere.

Nel pomeriggio invece chiama il responsabile della SPA e prenota un massaggio completo nella sua camera.

Terzo giorno.

Erika si è svegliata alle 13.

Arrivata in spiaggia si sdraia sul suo solito lettino e ascolta un po’ di musica classica dal suo MP3; non riesce a privarsene per troppo tempo.

Intanto, qualche metro più avanti, compare la bambina del primo giorno: è curiosa di vedere se oggi la signora strana c’è. Ieri non l’ha vista per tutto il giorno.

La Dura intanto si gode la sua playlist: Vivaldi, Beethoven, Chopin e Mozart.

Ad un tratto decide di stoppare e di prendere il sole, ma gli altri bagnanti fanno troppa confusione. Trascina quindi il suo lettino vicino alla riva, sul confine fra la spiaggia del villaggio e quella libera.

Crema.

Occhiali da sole.

Cappello.

E il mare in sottofondo.

Ad un certo punto qualcosa le tocca la spalla.

Erika si gira di scatto. È una bambina, quella che la osserva da quando è arrivata.

In viso è tutta sporca.

Con un super sorriso dipinto in volto le porge un fiore giallo.

La Pietroni non crede ai suoi occhi e, schifata, si gira dall’altra parte dandole le spalle.

Passano le ore.

Quando il sole inizia a tramontare Erika decide di andare a prepararsi per la serata, che trascorrerà mangiando da sola.

Ma quando si alza davanti a sé trova ancora la bambina.

Lei non si è mossa.

Ha aspettato tutto il pomeriggio, giocando un po’ con la sabbia.

Alla vista di Erika i suoi occhi si illuminano e, di nuovo, le porge il suo fiore profumato.

“Che cosa avrà da sorridere?” pensa La Dura, che dopo lunghi secondi di riflessione accetta il fiore e risponde accennando un sorriso stitico.

Mentre è sotto la doccia non riesce a smettere di pensare a quella bambina che vive chissà dove, e al suo gesto. Mai nessuno aveva avuto così tanta pazienza con lei.

Erika è restata positivamente sorpresa.

Giorno 4.

Erika dorme sotto il sole cocente di Zanzibar, ma delle manine appiccicose le smuovono la faccia.

Sì, è lei. La bambina del fiore.

Oggi il viso lo ha pulito, ad essere sporca è la sua maglia.

In quel momento qualcosa cambia; La Dura inizia ad ammorbidirsi così tanto da salutare la bambina con gioia. Tra lo sterno e l’ombelico percepisce una strana sensazione, piacevole. 

La piccola oggi non ha intenzione di restare seduta, vuole muoversi.

Per questo porge la sua piccola mano alla signora grande che le ispira simpatia.

La vuole portare con lei e mostrarle la sua casa.

Il suo villaggio.

Erika afferra quella manina e si lascia guidare fiduciosa.

Mentre camminano chiede alla sua piccola amica: “Io sono Erika. Tu come ti chiami? What’s your name? Name, nome...” aiutandosi con le mani.

Lei saltellando risponde: “Fah! Fah!”

Mentre le dice con gioia il suo nome le stringe la mano.

E più Fah le stringe la mano più il cuore di Erika batte veloce.

Quella bambina sorride sempre. Sorride sempre anche se vive in mezzo al nulla, con un vestito lordo e senza lavarsi da chissà quanto.

Lei invece, che ha sempre avuto tutto, ricca, con un attico in centro a Milano, vive nella tristezza, sentendosi sola e incompleta.

Appena arrivano al villaggio della piccola Fah, Erika si sente come travolta da un tir.

I suoi occhi si sbarrano.

Il cuore le sembra esplodere.

Crede di non saper più parlare.

Fra terra, immondizia e moscerini c’è un’infinità di capanne, case con tetti in lamiera.

Fah, come tanti altri abitanti del villaggio, è scalza, e a terra ci sono sassi e cocci di vetro.

Erika si ritrova in una situazione che fino a ventiquattro ore prima non avrebbe mai immaginato e accettato di vivere.

Inspira.

Inspira e sente odori di vita, perché sanno di sudore, terra, escrezioni di zebù e curcuma.

Attorno a sé bambini che corrono, donne che cucinano in enormi pentoloni, e musica. Tanta musica.

Erika sta provando emozioni nuove, che non sa catalogare.

Emozioni che non pensava nemmeno esistessero.

Il pomeriggio passa in fretta, e La Dura scopre una realtà insolita, affascinante e nuova; scopre una Pietroni Erika nuova.

La sua vacanza la trascorre in quel villaggio, cantando “Jambo, jambo bwana” - che la receptionist le ha spiegato essere una canzone famosissima dal significato “Ciao, ciao signore” - e scegliendo di assecondare le emozioni che la travolgono, facendola sentire viva senza timori.

Ma il tempo quando si sta bene vola.

Ed è così anche per Erika.

Oggi rientra in villaggio con molta calma, perché è consapevole che ogni secondo che trascorre lo sta vivendo per l’ultima volta.

Insieme a lei c’è Fah, che saltella e cerca conchiglie da regalare alle sue amiche: ha capito che la signora se ne andrà, ed è triste. Proprio come i primi giorni la osserva in silenzio.

Erika fissa il mare.

Siamo prossimi al tramonto.

Tutto all’improvviso si colora di rosso, arancione e giallo intenso. Una palla infuocata sembra inzupparsi nel vasto oceano che improvvisamente si tinge di nero. Una meraviglia simile non ha prezzo; Erika non la può comprare, è lì a disposizione di chiunque. La natura si offre nel suo splendore. Gratuitamente.

In silenzio.

Erika si ferma e osserva ciò che la circonda. Dentro di lei si smuovono sensazioni che toccano corde da cui nascono melodie incantevoli.

I suoi occhi si inumidiscono.

È il momento di andare.

Deve prepararsi per l’ultima serata e fare i bagagli.

Si abbassa, mettendosi all’altezza di Fah.

Nel silenzio assoluto, dove l’unico rumore sono le onde del mare, Erika fissa i suoi occhioni scuri, mentre la piccola le sorride.

“Fah, mi mancherai!” sono le uniche parole che riesce a dire prima di stringerla forte al suo petto.

Quanta magia rinchiusa in quell’abbraccio.

Che strani quei brividi.

E pensare che il primo giorno l’ha trascorso a pensare come togliersela di torno.

Anche Fah la stringe, e le sue manine trasmettono tutto quell’amore che Erika non ha mai ricevuto negli ultimi lunghi anni, a cui ora guarda con disprezzo perché ha capito di averli sprecati.

“Allora ciao, ciao” dice muovendo la mano.

La sua piccola amica contraccambia, ma prima che le loro strade si dividano urla: “Ninakupenda! Ninakupenda! Ninakupenda!”

Erika scoppia in lacrime.

 

            Tornata nella sua suite si guarda nel grande specchio situato fuori dal bagno.

Si vede diversa. 

E lo è.

Ora per Erika il sorriso non è più qualcosa di pauroso e da deboli; il suo viso ha una luce inedita, come l’energia che ha in corpo.

Torna a casa diversa.

Torna a casa con la consapevolezza che la ricchezza di cui ha bisogno non ha nulla a che vedere con i conti in banca.

Torna a casa con il mare nel cuore; quel mare che le ha rubato le parole e l’ha fatta rinascere.

Torna a casa pronta a socializzare e a vedere gli altri come risorse e come possibili valori aggiunti alla sua quotidianità.

Torna a casa assetata di vita, quella vera; quella che ha vissuto nel villaggio di Fah, fra i suoi abitanti e gli odori del posto.

Un po’ è malinconica e un po’ è contenta. Un mix strano da spiegare a parole.

Ora ha le forze che sperava di trovare prima di partire.

Erika torna a casa con un suono che non le esce dalla testa. Un suono dolce come il cioccolato del posto che ha gustato in questi giorni e piacevole come una composizione di Mozart; un suono che però non sa come identificare: è la parola che le ha urlato Fah prima che si lasciassero.

Ninakupenda.

Con uno scatto mai fatto in quasi quaranta anni di vita afferra il telefono e si connette a Internet.

Deve cercare il significato di quella parola prima di dimenticarsela. Non se lo perdonerebbe.

Apre il traduttore e scrive.

Cerco...

Erika cade a pancia in su sul suo letto.

Piange di gioia.

Sente che il suo cuore si sta allargando secondo dopo secondo.

Dopo aver letto il risultato della sua ricerca non è riuscita a trattenersi.

Se solo potesse rivedere Fah per un’ultima volta! Le direbbe grazie!

Se solo potesse cambiare alcune scelte prese in questi anni tetri, vissuti nella più totale sterilità d’animo.

Ma indietro non si torna, Erika è cambiata ed è pronta a ricominciare.

E di quella parola ora conosce il significato.

Resterà per sempre incisa nelle pieghe del suo cuore.

Ninakupenda. Ti voglio bene.



Giacomo Bertò 


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Commenti

  1. Racconto bellissimo emozionante
    Pieno di tante riflessioni .

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  2. Bellissimo.
    Come sempre riesci a far entrare nella storia chi la sta leggendo.
    Si sentono le vibrazioni
    ❣️

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  3. E come tutti i tuoi scritti anche questo letto,riletto e riletto ancora. Per una prima parte segnato dall'antipatia verso la protagonista xche' purtroppo troppo spesso mi faccio condizionare dalle apparenze. Poi,x fortuna ,ho imparato ad andare fino in fondo x capire chi ho davanti e mi sono ritrovato a provare le sensazioni vissute nel lontano 1998 in Amazzonia. Certo io sapevo cosa ci andavo a fare ma la naturale gioia del nulla di chi vive in quei posti ti spiazza,ti rivolta,ti cambia,ti migliora. Cosi',come dopo ogni tuo scritto,finisco dicendoti grazie,ringraziandoti di cio' che mi doni ogni volta,ritenendomi fortunato di averti nella mia vita che migliora semplicemente leggendoti e tenendomi stretto nel cuore il tuo sorriso contagioso.

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  4. Dimenticavo....NINAKUPENDA...perche' che TI VOGLIO BENE lo sai gia'.

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  5. È l’essenza di ciò che dovremmo costantemente cercare e desiderare. A volte mi sento un po’ Erika…ma spero sempre di trovare una Fah ad aprirmi gli occhi. Ninakupenda Jack, con tutto il cuore.

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